LA STORIA SEGRETA DEL NOVECENTO

geopolitica, geoeconomia, profili strategici, scacchieri operativi nascosti e spazi esoterici.

 

L’obiettivo che mi propongo di raggiungere con questo sito è quello di svelare e rendere di pubblico dominio aspetti occultati dalla storiografia ufficiale. Un colloquio, quello con i visitatori di queste pagine, senza astuzie e senza riserve. Andare oltre le immagini di superficie, oltre gli stereotipi, l’ufficialità mass--mediatica che tutti conoscono, ma scavare, invece, nel profondo alla ricerca di verità sconosciute contro il terribile potere dei preconcetti. La mistificazione è sempre possibile perché nascondere è altrettanto facile che svelare. Arte dell’interpretazione. Orizzonti temporali di lungo periodo per cercare sempre la libertà dall’opinione degli altri. Lo studio scientifico della storia contemporanea ha a che fare spesso col misterioso, col nascosto alla vista; esoterico, per “iniziati”, appunto: appartenente a certe supposte scienze situate al di fuori della consapevolezza corrente. Da storico e scienziato mi sento libero di esplorare le ragioni di tutti in tutte le direzioni a 360 gradi. Ritengo perciò di definire il mio mandato specifico come una battaglia contro i settarismi. Un’opera nitida, un manuale di resistenza contro l’omologazione culturale, ideologica, storica e politica.

Fondare nuove sintesi storiche

Il principale obiettivo di questo sito è quello di costituire una faglia energetica, un portale in grado di illuminare la mente e l’anima perché lo scrivente vuole ridare il via a qualcosa. Per operare scelte “elementari”, il più delle volte, ci vuole coraggio, anche se le nuvole all’orizzonte minacciano un temporale.

Il criterio dell’originalità, presente in ogni attività creativa, non è tuttavia criterio sufficiente se disgiunto da una legalità generale che consente all’attività di essere riconosciuta da altri individui. L’accadere della creatività secondo regole è ciò che la distingue dall’arbitrarietà. Il carattere creativo è contrassegnato da una forma di pensiero divergente che – al contrario di quello convergente tendente all’unicità di risposta – presenta originalità di idee, fluidità concettuale, sensibilità per i problemi, capacità di riorganizzazione degli elementi in analisi e produzione di risposte diverse fra loro. Chi scrive è convinto che, con l’incipiente oligarchizzazione della “cultura” (intesa come potere autoreferenziato privilegiato e castalmente dinastico nella trasmissione), si assista – per conseguenza – all’affermazione parallela della qualità alta della ricerca indipendente. Via via che ho esaminato nuovi documenti, sono rimasto sempre più sconcertato dalla pochezza dei ragionamenti faziosi dell’establishment politically correct, portati avanti da “soggetti” il cui unico intento è quello di perseguire una sorta di secondo fine allo scopo di occultare la vera natura dei dati. Per non parlare poi dello strapotere, ormai quasi divenuto telecraticamente inattaccabile, dei cosiddetti “dilettanti della storiografia”, autori di libruzzi inventati, automaticamente – data la devastante ignoranza del pubblico italiota medio – assurti al rango di bestsellers.

Questa discrepanza tra la realtà e la percezione della realtà è anch’essa una manifestazione di un’epoca contrassegnata dalla ipocrisia, dalla demagogia e da una informazione ideologizzata. In questo senso io mi ritengo un mattone, un mattone che è uscito fuori dal muro di omertà che è attorno a noi. La maggior parte dei canali comunicativi offre un prodotto notevolmente omogeneizzato e le maggiori agenzie di stampa ed informazione – politica, storica e geopolitica – si caratterizzano per una standardizzazione prefabbricata delle notizie che spesso risulta soffocante ed inquietante. Quello che arriva al pubblico come “pane quotidiano” dalla politica interna e mondiale è che le cose non sono mai chiare. La verità è sempre inaccessibile e nessuno la conoscerà mai con certezza. Abbiamo anche imparato che la falsità fa parte degli strumenti ordinari della politica, che tutto avviene dietro le quinte, con la certezza che una buona pubblicità conti di più della correttezza espositiva. La ricerca di quella che una volta si chiamava “egemonia”, si risolve in una lotta per l’apparenza pubblicitaria; è una tendenza ad essere sulla scena, e tutti i propositi “trasgressivi”, tutte le apparenti contestazioni, fratture, stravolgimenti linguistici ed estetici, diventano conformismo, finiscono addirittura per assumere una mera funzione pubblicitaria. Chi scrive si propone di elaborare storiograficamente e politicamente una forza critica che può spiazzare, lasciare sorpresi e perplessi, mettendo in dubbio parametri di giudizio che si credevano e si credono consolidati ed acquisiti. La mia disposizione storico-politica è quella di mettersi in gioco in nome della “verità” a 360 gradi, senza cautele e tatticismi istituzionali, sperando di non rimanere, per questo, invisibili. Rieducare l’intera opinione pubblica interna ed internazionale alla coscienza del ruolo della spiritualità geografica nella storia, in modo che ogni lettore smetta di pensare da provinciale, e pensi invece in termini di interi continenti. Ognuno di noi è, in qualche modo, un attore sul palcoscenico della politica mondiale. Non si deve avere una mentalità ristretta, si deve pensare a spazi vastissimi, interi continenti considerando l’evoluzione dei fatti storici nell’ambito di sconfinate prospettive temporali. A complicare il problema di interpretare ruoli ed equilibri del vasto scenario politico del XX° secolo (e, per conseguenza, del XXI°) si è palesata l’”imperiosa” crescita della disinformazione semplicistica della televisione e della carta stampata. Vi sono, purtroppo, infatti, troppi spiriti timorosi, la cui capacità di comprendere è stranamente limitata da idee preconcette. Si regredisce a stati meno organizzati dell’attività psichica, si perdono i nessi logici abituali ed il materiale culturale e storico si mescola in modo confuso. L’alterazione della verità attraverso le montature mediatiche perché se è vero che non si può ingannare tutti per sempre, è pur vero che si può ingannare troppi per troppo tempo. Si possono ingannare tutti, se la pubblicità è giusta ed il budget è sufficiente. Si pensi a quanti anni sono dovuti passare perché si rivelassero finalmente al grande pubblico dei non addetti ai lavori – ci riferiamo allo speciale in due puntate di fine agosto e 6 settembre 2004 su RaiTre dal titolo Carteggio Churchill-Mussolini: l’ultima verità di Maria Luisa Forenza e Peter Tompkins – solo una piccola parte degli intrighi sconvolgenti connessi al carteggio segreto tra Mussolini e Churchill, vera ragione della morte del Duce e delle centinaia di successivi omicidi (a cominciare dalle uccisioni di Luigi Canali “Neri” e della sua compagna Giuseppina Tuissi “Gianna”, di Carlo Alberto Biggini) operati nell’Italia settentrionale dai partigiani comunisti e da oscuri sicari dei servizi segreti stranieri (ed italiani) nei mesi ed anni seguenti all’aprile 1945. E tra questi va annoverato l’assassinio politico del giornalista de <<Il Meridiano d’Italia>> Franco De Agazio il 14 marzo 1947 legato anch’esso agli inconfessabili risvolti della corrispondenza top secret del primo ministro inglese col premier fascista, così come alla torbida nascita della Prima Repubblica ed alle “purghe lariane” annodate alla sparizione dell’”oro di Dongo” ed all’incameramento illegale dei beni della R.S.I. da parte del P.C.I.. Piazzale Loreto, quindi, è tutto ciò che di velenoso e vergognoso vi si cela dietro, a cominciare dalla falsa autopsia sul cadavere di Mussolini, su cui, mutatis mutandis, sono state compiute le medesime operazioni perpetrate dalla CIA sulla salma di (Jack) John Fitzgerald Kennedy nel 1963 dopo e durante il complotto assassino di Dallas. Uno degli incubi professionali che non mi ha mai lasciato è il senso della caccia alle streghe che questa vicenda può acquistare; una vera iattura per chi tenta di ricercare la vera verità sulle ultime ore di Mussolini e della Petacci: the crux of the matter, il punto cruciale dell’intera questione per dirla all’inglese. Oggigiorno, chi metta in dubbio i dati di fatto della velenosa scia di sangue scaturita, in parte, ma fisiologicamente, dall’avidità assassina di Winston Churchill per recuperare nel periodo 1945-1949 le lettere segrete scambiate con Mussolini, non deve essere definito incredulo, ma insipiente. A tutta questa tenebrosa faccenda abbiamo dedicato buona parte delle nostre ricerche e dedicheremo molto nel futuro prossimo. Per gli italiani si potrebbe coniare il titolo di un avvincente libro o film sui segreti della morte del Duce – che sono poi i segreti del nostro ingresso nella seconda guerra mondiale il 10 giugno 1940 -: Gli italiani e la 2ª guerra mondiale: liberi di non sapere.

Come uno spirito maligno che si è colpevoli di aver risvegliato, alla stregua di Prometeo; si scatena, infatti, sempre una campagna di aggressione morale, si sviluppa una spirale di denuncia, si articola contro chi investiga un mosaico di sospetti. Parti politiche strumentalizzate, stampa coinvolta da collegamenti ideologici o da esigenze commerciali: la macchina demolitrice della verità e della persona umana è al centro. L’ignoranza dei molti sprovveduti gareggia con la malafede dei pochi interessati. L’opinione pubblica, una certa opinione pubblica – che però coincide solo con l’opinione pubblicata -, il sinedrio gretto dei benpensanti, riempie gli spalti dell’anfiteatro, ma non da spettatrice, bensì da suggeritrice con il dito puntato. La demonizzazione culturale talvolta raggiunge il parossismo come in certi processi politici. Una strage deve avere quella determinata matrice e guai ai giudici che non realizzano un processo sommario con questo risultato: Res iudicata facit de albo nigrum et de quadrato rotundum. Il giudice ha, come lo storico fazioso ed il giornalista prezzolato, come il conduttore telecratico dei talk shows, come il mago delle favole, il sovrumano potere di operare nel mondo del diritto (e dello spettacolo, la giustizia-spettacolo con le claques teatrali tipiche di certa, anzi tanta, televisione da osteria) le più mostruose aberrazioni, le più spericolate metamorfosi e di dare alle ombre parvenze di verità: e poiché nel suo mondo sentenza e verità debbono alla fine coincidere, egli può, se la sentenza non si adegua alla verità, ridurre la verità alla misura della sua sentenza (che è poi una menzogna). Si dà il nome di “religione”, del resto, alle notizie tramandate e, dopo il 29 aprile 1945, gli italiani (anzi, una parte di essi) hanno deciso a cosa si voglia credere ed a cosa no. Gli apocrifi sono, infatti, i testi esclusi dai “sacri” canoni della vulgata ufficiale.

La retorica antifascista, politica e storiograficamente militante, ha avvelenato l’informazione nazionale, condannando, forse per sempre, l’Italia ad una visione provinciale della storia, della economia, della politica e della geopolitica mondiali, costituendo un serio vulnus alla proiezione internazionale del nostro Paese.
L’Italia non è, almeno da 63 anni, un Paese libero, indipendente e sovrano; è soggetto ai dettami di organizzazioni trasnazionali; non è, quindi, una Nazione che conduce liberamente una politica estera funzionale ai propri interessi e non a quelli di organismi diversi. L’Italia appare strutturalmente incapace di affrontare le attuali sfide internazionali, facendosi contare, ma, continua a farsi chiudere le porte decisionali in faccia. Va riorganizzato in primis il servizio diplomatico secondo un criterio geopolitico di settori mondiali, ponendo la competizione internazionale sul terreno dell’espansione economica. Conoscenza storico-diplomatica ed autonomia critico-scientifica: anche in questo caso viene palesata la totale ignoranza e la completa disinformazione della realtà del periodo 1914-1945, come si nota facilmente se si perde tempo a leggere od ascoltare le banali e sudaticce “analisi” ed i più frivoli favoleggiamenti elaborati dagli scribacchini benpensanti dei “grandi” organi di (dis)informazione italioti.

10 giugno 1940, 25 luglio 1943, 8 settembre 1943 (in realtà 3 settembre 1943) e 28 aprile 1945: oggi la complicazione non sta nel dimostrare con argomenti provati quanto qui accennato, ma nel trovare qualcuno che lo faccia con rigore scientifico e con spirito modernizzante. Personalmente sono sconcertato che in tanti libri e saggi e nei più dei media non si trovi con chiarezza l’anomalia originaria fonte di distorsioni strutturali poi non corrette perché vantaggiose per troppi interessi. Anzi, la distorsione è persino celebrata come modello avanzato da difendere. E qui nasce il sospetto forte che tali interessi influenzino quel mondo della ricerca, della cultura e dei media che dovrebbe informarci. La storia e la verità sembrano ostaggio della menzogna e della paranoia. In questi 60 anni si è lavorato, con ossessiva determinazione, per tenere lontana dai fatti l'opinione pubblica. Chi scrive ha – per vocazione e per tradizione familiare - l’inopportuna tendenza di dire sempre la verità in una società in cui vige la regola di dire e scrivere cose false ed allora ci si può trovare circondati da gente che si è adattata a tradurre le menzogne dei più in una forma più intermedia e meno imbarazzante. Una verità costruita in laboratorio, una verità di Stato. Nulla si sa, tutto si immagina. La storia imbarazzata, la storia rimossa, la storia ideologizzata che celebra le stagioni “eroiche” senza parlare degli angoli bui e delle zone d’ombra. Di fronte ai salmi sessantennali della “religione” antifascista recitati da elaboratori di disinformazione meschini e limitati negli atteggiamenti e nelle valutazioni, la mia dolorosa sensibilità di storico indipendente, per vocazione e per gusto, si muove su altre linee di ricerca per operare uno strabiliante mutamento di prospettiva, una revisione storica di enorme portata con saggi scientifici dal potenziale esplosivo inimmaginabile pieni di indagini intricate ed affascinanti. Aprire uno squarcio risolutivo nel muro delle omertà storico-politico-diplomatiche con cui si è cercato di occultare il vero spessore dei rapporti segreti del secondo conflitto mondiale (della sua genesi, del suo imprevedibile corso e delle sue conseguenze), alzando il sipario sulle trame di retroscena della vicenda: questo il mio compito. Proprio in contrapposizione alla febbrile e continua attività di manipolazione o di dosaggio della verità che ha dato luogo ad un vero e proprio capolavoro di anestesia della realtà con un relativo iter di privazioni sensoriali. Abbiamo cercato e cercheremo di stabilire a posteriori la verità su tutti i misteri che portarono l’Italia in guerra nel 1940. Più si studia l’argomento, più domande si accumulano e più la linea diventa contraddittoria quando non un insulto all’intelligenza ufficiale. Mentre la guerra 1939-1945 è ancora in corso, l’establishment USA ed inglese riconosce la centralità del controllo del flusso selettivo delle informazioni per la conquista della egemonia mondiale. Molto tempo prima che il mondo nel suo complesso potesse prendere qualche contromisura da opporre, gruppi statunitensi privati e governativi stavano attivamente promuovendo su vasta scala la propria supremazia culturale, cinematografica ed informativa. Si pensi, solo per fare un esempio, allo smantellamento della fascista Agenzia Stefani e della sua incorporazione nell’ANSA, emanazione dell’Associated Press. Stiamo parlando di potere culturale concentrato. Non ci riferiamo soltanto alla lunga tradizione di cooperazione tra Hollywood ed il Pentagono, ma anche ai finanziamenti dell’O.S.S. (Office of Strategic Services) – antesignano della C.I.A. – al cinema neorealista di Roberto Rossellini, Vittorio De Sica e Billy Wilder tramite il domenicano Padre Felix Morlion. È molto vero, riguardo al degrado culturale televisivo degli ultimi anni, che la gente non pensa, ma subisce. I fabbricatori della storia ufficiale credono, con la loro “verità” ex cathedra, credono se stessi indispensabili all’uomo. Ma se gli uomini davvero altro non sono che polvere, allora anche il loro trono poggia sulla polvere. Un sovrano è forte solo quando governa su un popolo forte, e dovrebbe essere nel loro interesse rendere gli uomini forti nella capacità di giudizio e nella conoscenza. Dopo il cinquantennio del teatrino della Prima Repubblica – anche se di Prima Repubblica è erroneo parlare perché le repubbliche italiche napoleoniche (Cispadana, Cisalpina), quella Romana del Mazzini del 1849 e quella Fascista e Sociale mussoliniana del 1943-1945 vengono tutte prima di quella del 1946 - (che era pur sempre un teatro), l’attuale bipolarismo,  mediocre avanspettacolo delle mezze calzette del centro-destra e del centro-sinistra della politicuzza italiota stile Seconda Repubblica post-Tangentopoli, consacra la desolazione del nulla storico-politico ad orizzonte comune di riferimento. Quella politicuzza <<politically correct>> dei cosiddetti “moderati” (leggi “impotenti”) e dei cosiddetti “progressisti”. È l’ultimo atto di un collasso psicologico iniziato il 24-25 luglio 1943. Questa gentucola, totalmente ignorante, pretende – forse per il solo fatto di mostrare i loro insignificanti volti nelle gigantografie cartellonistiche elettorali o nelle incipriate serate dei  “salotti” televisivi dove avvengono i “confronti” miserevoli tra le più squallide vanità - di avere opinioni politiche pur non avendo alcuna cultura storica. Il colmo è che costoro esprimono pubblicamente e televisivamente giudizi su fatti orecchiati e completamente ignorati senza essere minimamente contraddetti dai conduttori telecratici, ignoranti (e mentalmente ristretti) da par loro. Non mi interessa e non so per quanto tempo ancora continueremo ad avere tutti questi “signori” tra i piedi. Non so per quanto tempo gli uomini (e gli italiani in particolare) del XXI° secolo continueranno formalmente a piegarsi al terrore delle intimidazioni della protervia della pochezza culturale e delle relative misure coercitive. Con ogni verità grigia e sconosciuta, politicamente scorretta, che si brucia sul rogo dell’Inquisizione del benpensantismo mediatico, si accende, in realtà, una luce di speranza e di resistenza per gli uomini che verranno. Perché sebbene gli uomini siano prigionieri dell’ignoranza e dell’errore, essi sono anche in grado di imparare dai loro errori e di superare la loro ignoranza. Erra in tutto solo colui che sostiene di non errare mai, e di non dovere conquistare, come tutti gli altri, la verità del sapere a partire dagli errori del suo cercare; uomo siffatto condanna se stesso in eterno alla incorreggibilità ed alla paralisi intellettuale nel bel mezzo del deserto del suo presunto sapere. Più di tutti però sbaglia colui che cerca di legare la verità a un potere imbalsamato ed all’ottusità delle cariche e dei titoli, anziché alla ricerca ed all’anelito degli uomini. Non credo che esista sulla terra un individuo che diventi più intelligente per il fatto che indossi una toga, una divisa od un ermellino. Non si dovrebbe pensare che un somaro resterà un somaro e che anzi diverrà un somaro ancora peggiore se di lui si vorrà per forza fare una scimmia al servizio dello Stato? È solo perché la carica viene sempre considerata più importante dell’uomo in carne ed ossa che la loro rivendicazione di possedere la verità ufficiale induce i fabbricatori di quest’ultima a considerare la verità viva, e spesso grigia, degli uomini alla stregua di una minaccia, e a sopprimerla ovunque sia per essi possibile.

Scrisse Mussolini: <<Vent’anni di fascismo nessuno potrà cancellarli dalla storia d’Italia. Non ho nessuna illusione sul mio destino. Non mi processeranno, perché da accusato diventerei pubblico accusatore>>. I colpi di mitra frettolosamente esplosi dai sicari partigiani e “segreti” a Giulino di Mezzegra(?) contro il Duce di Palazzo Venezia, sottraggono nell’aprile 1945 Mussolini ad un processo dall’esito tutt’altro che scontato, in cui il Capo Fondatore del Fascismo Italico e Mondiale avrebbe – documenti alla mano – potuto dimostrare davanti al mondo intero la sua buona fede e l’inganno dei mandanti esteri ed italiani del suo assassinio. Ha probabilmente, a nostro avviso, ragione Sergio Luzzatto quando – citando Giuseppe Bottai – scrive che <<fin dal 1922 un intero progetto di società futura era stato caricato sulle spalle di Mussolini….(…) Lo Stato fascista si era incarnato nel corpo del duce>>, per cui <<Mussolini non aveva fatto altro che recitare un copione scritto da quaranta milioni di mussoliniani>>. Un Mussolini visto, quindi, come una <<maschera riepilogativa, mandata dal destino a farci da specchio….(…) che riconosceva come un errore la propria rinuncia ad assumere in pieno le funzioni di tiranno>>.

Nella nostra più recente e seriale – programmiamo altri quattro monumentali studi – ricerca sui lati “nascosti” della guerra 1939-1945 c’è la sicura consapevolezza di aver superato una soglia segreta e proibita che ha lo scopo di far spaziare la propria vista e quella degli altri. Essere gli incontrastati proprietari delle nostre idee, a maggior ragione se originali e controcorrente. Sono proprio quelle il nocciolo dell’identità di ognuno di noi. Siamo in netta antitesi a quella che viene chiamata “storiografia militante”. In questo momento, più che nel passato, la Filologia, il rispetto delle regole storiche, delle concatenazioni degli eventi, il gusto della Storia come conoscenza dell’uomo, perdono terreno rispetto alla volontà di suscitare reazioni violente ed emotive ed alla ossessiva ripetizione di grossolanità e luoghi comuni spacciati per scoperte e per grandi verità. Parlare per trovare applausi da idioti, parlare orientandosi a quanto i cortili vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle opinioni comuni, è un'autentica prostituzione della parola e dell'anima. Penso all’eccessivo peso dato alla deprimente narrativa italiota ed estera, ai soliti squallidi salotti dei premiuncoli letterari di casa nostra dove vanno avanti solo le nullità mondane ed anche alla pochezza della cultura storica (nonostante apprezzabili tentativi di pochi seri autori di saggistica) ed alla crisi della carta stampata in Italia. Nel nostro Paese si vendono circa 6 milioni di quotidiani; nel 1938 (all’apice dell’era fascista, con una popolazione di circa 40 milioni ed il 20% di analfabeti) se ne vendevano 5 milioni e mezzo. Negli altri Paese europei e negli USA si vendono il triplo ed il quadruplo di quotidiani ed è singolare che gli editori della nostra stampa, impegnati in prima fila a spiegare per quali motivi l’Italia sia fuori dall’Europa, non si siano mai interrogati sulle magagne, le carenze, le insufficienze ed i pressappochismi di casa propria. C’è una spiegazione semplicissima per tutto ciò: i quotidiani italiani sono brutti e fatti male ed il tasso di eleganza tipografica (quasi del tutto inesistente) si va abbassando in conseguenza dell’abbassamento culturale della popolazione e dell’approfondimento dei pochi seri argomenti trattati ed in conseguenza della stupidità di contenuti e titoli. I giornali italiani sono prigionieri di un unico “modello” culturale che impone a tutto il mercato un’analoga gerarchia di notizie e la medesima interpretazione. Sono l’unico stesso “giornale”. I grandi quotidiani sono tutti saldamente in mano alle grandi famiglie imprenditoriali che hanno la stessa matrice “culturale” ed i medesimi interessi lobbistici. Inoltre, l’interpretazione della realtà è ferreamente affidata ad una categoria di “intellettuali”-commentatori pervasi da un conformismo assoluto. E tutti, con accenti diversi, seguono la stessa monotona linea perbenista, melliflua e viscida, interpretando i dati della realtà in modo da farli coincidere con le tesi prefissate. Si è venuta a creare, pertanto, una profonda spaccatura fra l’opinione pubblica “colta”, che legge i testi, e la massa inebetita che assiste passivamente a dibattiti preordinati e sostenuti da burattini che devono sostenere la parte, ammantati da un’ignoranza profonda travestita da pseudo-progressismo d’accatto. Il conformismo è il carceriere della libertà ed il nemico della crescita. In Italia negli ultimi 25 anni si è perso oltre un milione di lettori di giornali. Il risultato è che solo una persona su dieci compra regolarmente un giornale. Nel resto d'Europa la percentuale è tripla. Il virus del conformismo minaccia le nuove generazioni. Insegnare a queste ultime ad approfondire la conoscenza, ad estendere il vocabolario che rischia di diventare sempre più povero, e ad allargare gli orizzonti. Ci siamo posti, nella nostra ricerca della sintesi storica del periodo 1919-1945, il problema della persistenza carismatica post-mortale di Benito Mussolini, alimentato anche dal fatto che dalla figura del politico di Dovia emana forte trascendenza nei confronti della banalità della vita quotidiana. La vitalità post-mortale del Duce proletario e fascista ci induce a pensare che ancora adesso gli italiani non si siano confrontati con il problema della sopravvivenza simbolica di Mussolini. <<Se mai Mussolini aveva commesso un delitto, era stato – per Montanelli citato da Luzzatto – non già di instaurare il terrore fascista, ma di rinunciare a instaurarlo>>. <<Alla fine di aprile del 1945, Mussolini aveva raggiunto Milano proprio affinché il cerchio del fascismo si chiudesse là dove egli l’aveva aperto nel 1919, perché la città del crucifige fosse la medesima dell’osanna>>. <<Il vulcanico artefice del Ventennio delle illusioni. Di illusioni si era trattato; di quelle però che nobilitano la vita, o almeno danno un senso alla giovinezza: trasformare un paese, vincere una guerra. Sicché – prosegue Luzzatto – Longanesi poteva odiare il fascismo per il male che aveva causato all’Italia, e insieme riconoscere nel duce l’unico statista dell’Italia moderna che avesse chiesto agli italiani qualcosa di serio>>. Ecco perché è necessario studiare la psiche e ci addentriamo nei misteri della mente del Capo del massimalismo socialista prima, del Fascismo non monarchico (anche se compromesso colla Monarchia Savoia) dopo, e, da ultimo, di quello Repubblicano della R.S.I.

E su la Repubblica Sociale Italiana, che Mussolini avrebbe voluto inizialmente chiamare Repubblica Socialista Italiana, ci “azzardiamo” ad osservare che – per i provvedimenti collettivistico-socialistici da essa (il nome del fondatore del PCd’I Nicola Bombacci basterà a far capire ciò che intendiamo dire) adottati – se in Italia nel Novecento vi è stato un unico vero Partito Comunista, questo è stato solo il Partito Fascista Repubblicano.

La Repubblica di Bogliaco

Uno dei tanti macroscopici errori storici e culturali è stato quello di definire sbrigativamente e caricaturalmente la R.S.I. come Repubblica di Salò. Perché, invece, ritengo – e mi farò estensore d’ora in avanti di questa missione – che si debba introdurre, casomai, il termine di Repubblica di Bogliaco; in questa frazione lombarda di Gargnano ebbe, infatti, la sede la Presidenza del Consiglio dei Ministri mussoliniana, mentre a Maderno furono stabiliti il Ministero degli Interni e la Segreteria del P.F.R. (Partito Fascista Repubblicano), a Salò i Ministeri degli Esteri, della Cultura Popolare e la sede della Agenzia Stefani, a Gargnano (Villa Feltrinelli) la residenza del Duce ed a Villa Orsoline il quartier generale. Gli altri ministeri erano collocati a Cremona, Milano, Brescia, Venezia, Verona e Padova. Perché si sia perpetrato per 60 anni il termine – assolutamente errato e privo della benché  giustificazione storica – di <<Repubblica di Salò>> è un “mistero” che si può spiegare solo con un fine d’inquinamento della verità forse legato anche alla ridicolizzazione nominalistica di un’esperienza ancora da sezionare attentamente. Ad un’analisi che non sia motivata da un obiettivo pregiudiziale di semplificazione, il problema è, infatti, quello di vedere nel Manifesto di Verona della R.S.I. una risoluta dichiarazione di fronte al mondo di patriottismo repubblicano e volontà di espansione da parte di un governo certamente più legittimo di quello badogliano nel senso che non è stato frutto di un colpo di Stato di palazzo come quello scaturito dal 25 luglio 1943.

La “verità incoerente potrebbe intitolarsi una biografia di Benito Mussolini; pensiamo al problema del tanto declamato antigiudaismo del Duce. Problema complesso se si considera che la vera donna-musa-amante di Mussolini è stata l’ebrea Margherita Grassini Sarfatti, autrice di DUX nel 1929; se si considera che nel 1932, quando Hitler in Germania è già in primo piano, Mussolini concede solo all’ebreo tedesco Emil Ludwig – per 12 giorni, dal 23 marzo al 4 aprile 1932 nella sala del Mappamondo di Palazzo Venezia – di tracciarne un acuto e provocatorio profilo biografico per il resto dell’opinione pubblica internazionale che saranno poi i Colloqui con Mussolini, per i tipi di Mondadori. Il quale Ludwig scriverà, dopo la seconda guerra mondiale:

<<Indubbiamente nessun contemporaneo russo o inglese ha avuto tanta comprensione degli ebrei, come Mussolini di fronte a me nel 1932. Sfruttai questo argomento contro HItler ed egli mi seguì su questa china tanto più facilmente, in quanto nessun italiano può essere antisemita per ragioni razziali o spirituali. (…) Per più di un decennio Mussolini è stato l’europeo più popolare in America e di fronte a lui l’opinione pubblica mondiale non ha provato il disgusto suscitato da Hitler, perché egli non ha mai parlato della superiorità del popolo italiano sugli altri, ma ha predicato anzi, come risulta in molti punti dei colloqui, la tolleranza verso gli altri, che non è ammessa dalla concezione nazista>>. Nonostante le leggi razziali del 1938, che sono molto più complicate della semplice enunciazione e che quasi nessuno di coloro che le citano oggi è mai andato a leggerle attentamente, nonostante esse, va detto che, fino al 25 luglio 1943, quando dopo il colpo di Stato monarchico badogliano i tedeschi non riconosceranno più la legittimità di un governo italiano, nessun ebreo fu mai deportato dall’Italia. Gli ebrei deportati successivamente (8mila su un totale di 50mila) furono arrestati su ordine dei tedeschi, non degli italiani.

La declamazione della parola politica sulla scena storica del Ventesimo secolo: Mussolini, Politico totale, Attore Totale

Per rendersi conto di un’influenza nascosta ed inconscia del Duce ad oggi, basta andarsi a rivedere attentamente quei discorsi mussoliniani, autentici documenti per i posteri organizzati con quella tecnica oratoria piena di stringhe fonetiche in giuntura chiusa, con quel particolare schema intonativo, con la concatenazione delle sillabe ed il posizionamento accurato delle pause con un’impressione di rallentamento dell’eloquio. Durante la transizione dal silenzio al parlato, una misteriosa atmosfera di suspense soprannaturale avvolge il luogo del comizio quasi che Mussolini riuscisse a desincronizzare e fermare le pulsazioni cardiache proprie e della folla di ascoltatori e spettatori a suo piacimento, entrando in uno stato di assoluta catalessi, iniziato ai misteri del silenzio e dell’immobilità. Guardiamo l'immenso Tsunami umano che si riversava intorno a Palazzo Venezia sul tappeto magico di un'acclamazione sismica, dopo ogni parola sospesa del Duce. Con una segreta catena di disciplina ed autodominio, il Mussolini oratore è uno spettacolo senza tempo: una pietra miliare della declamazione politica e della comunicazione scenica; stiamo parlando di quelle “catene magnetiche” che il leader romagnolo gettava sul pubblico senza sforzo ed in modo quasi impercettibile, per cui la direttrice palco-pubblico diventa un luogo, in un certo senso ipostatizzato. Ed il Duce, dialogando con la folla, ha per contenuto il fondo misterioso della propria formazione mitificante. La conoscenza di questo principio strutturatore, lo sviluppo della sua realtà occulta è il punto di inflessione del nostro tempo.

Sergio Luzzatto, Mussolini buonanima, EJGS Archive – Luzzatto, in http://www.arts.ed.ac.uk/italian/gadda/Pages/resources/archive/ fascism/archivi/luzzatduce,html, pp. 1-40, pp. 10-11.

Ibid., p. 5.

Ibid., p. 5.

Ibid., p. 28.

Emil Ludwig, Colloqui con Mussolini, Prefazione di Indro Montanelli, Mondadori, Milano, 2000, Introduzione, p. XXXVII e p. XXXIX.

I salmi sessantennali della "religione antifascista" sono sostenuti dagli "intellettuali" di regime, i quali rifiutano d'indagare perché si basano sulla verità ufficiale. Alle mie operazioni non sono stati – e non saranno – mai posti limiti geografici per farsi una visione più ampia del problema. Risolvere il passato, cambiando gli schemi mentali perché ci sono vari modi di memorizzare la Storia, non sussistono standards univoci. L’unico standard che seguiamo è il rigore critico nell’analisi dei fatti specie riguardo alla complessità espressiva di un termine come il fascismo ed alla sua inesauribile e sfaccettata ampiezza semantica. Nel corso degli ultimi 50-60 anni gran parte della storiografia ufficiale è riuscita a mettere a tacere in modo esemplare le voci contrastanti. Molte attuali indagini scientifiche sono vincolate da una impostazione mentale ristretta, i cui parametri vengono tacitamente definiti ed applicati in base ad un accordo collettivo, secondo cui il risultato non deve mai oltrepassare un limite prefissato. Il nostro scopo è quello di giungere a dimensioni storico-politiche di pensiero più vaste, che trascendano le obsolete barriere mentali, dimensioni in cui è possibile ascendere a livelli superiori di conoscenza senza perdere le certezze scientifiche. Noi, con queste pagine e con i nostri lavori cui rimandiamo i nostri interlocutori, abbiamo posto la questione affinché Voi diate una risposta. Restiamo in attesa di una o più risposte. Siamo, comunque, consapevoli che chi accende una luce nel buio si attenda le zanzare. In Italia ed in Europa è “facile” parlare, è difficile approfondire. Sovvertendo l’intero paradigma storico corrente, nostro scopo è quello di analizzare con imparzialità i dati che abbiamo raccolti, raccogliamo e raccoglieremo, anche se possono cambiare completamente i canoni storici ufficiali. Qualcuno tenterà di censurare i cervelli, manovrare la stampa, chiudere le bocche a chiave. Ma ci sarà sempre un uomo disposto a correre il rischio di dire la verità. E la verità verrà ascoltata…

Si legge in un rapporto (conservato nel Record Group 226 dei National Archives and Records Administration americani) redatto dalla Sezione Propaganda del Secret Intelligence (S.I.) della Strategic Services Unit (S.S.U.) interna al Department of War statunitense in data 16 maggio 1946:
<<La propaganda occulta è uno dei più efficaci mezzi attraverso cui un governo, una struttura oppure un gruppo possono esplicare segrete pressioni, le quali possono essere di natura politica, economica o militare. Poiché non si esercita alla luce del sole, la propaganda occulta viene spesso individuata quando ha già raggiunto i suoi obiettivi che consistono in: promozione di sommosse, di azioni di resistenza o di rivolte, la provocazione di mutamenti politici, le infiltrazioni in settori commerciale ed economico, l’indebolimento del morale di un popolo o di un esercito. L’esperienza – prosegue il rapporto dei servizi USA – ha dimostrato che la propaganda occulta è un’arma internazionale, sia in pace che in guerra (…) L’applicazione dei più avanzati studi psicologici punta a manipolare l’opinione pubblica dei popoli senza che questi ne abbiano coscienza. La propaganda occulta permette inoltre di identificare le intenzioni di quei governi stranieri, movimenti politici o gruppi di pressione contrastanti gli interessi statunitensi..(…) Nella categoria dei falsi incidenti si possono annoverare: (a) la fomentazione di scontri; (b) la provocazione di contrasti; (c) la provocazione di violenze.(…) I falsi incidenti costituiscono il pretesto più strumentale per: (a) cambiare l’attitudine dell’opinione pubblica; (b) provocare interventi ufficiali, militari e diplomatici; (c) causare controversie internazionali o, perfino, scatenare guerre. La provocazione di falsi incidenti è spesso preceduta da un periodo di preparazione>>.
Assistiamo oggi allo strapotere mediatico di detentori <<politically correct>> del “sapere storico accettato” - soprattutto attivi nella Unione Europea - che costituiscono una vera e propria nomenklatura. Le nomenklature possono cambiare casacca e Paesi, ma la loro struttura è sempre la stessa. I loro squallidi obiettivi sempre uguali: manipolare la storia - per accaparrarsi delle leve condizionatrici della sensibilità dell’opinione pubblica - e gestirla come cosa propria nei luoghi di potere che occupano, tramandandola nei libri che impongono ai giovani ossequiosi per ignoranza o convenienza. Il bombardamento subliminale della psiche, usando ogni genere di media, la penetrazione terroristica di false notizie ed informazioni nella società, l’utilizzo di alcune sette  costruite a tavolino o gruppuscoli idioti (leggi skinheads o Ku Klux Klan) costituiscono corollari costanti di questa strategia dettata da altri Padroni dietro le quinte.
Spero che tale sito possa trovare il gradimento o l’interesse, anche critico, di tutti coloro che vi si imbattono ed imbatteranno, per ripagare l’impegno veramente oneroso con il quale è stato realizzato. Con un solo scopo: dare vita ad un “prodotto” culturale innovativo e rivoluzionario. La Storia della Seconda Guerra Mondiale dovrà, “purtroppo”, essere riscritta più volte, perché è ancora avvolta nell’oscurità. È molto difficile tenere celata la verità, qualunque essa sia. Prima o poi la verità emerge, ma,  purtroppo, emerge male. Basta che un solo individuo fornisca delle “ri-velazioni” su ciò che è successo in certi momenti in determinati luoghi, che queste “ri-velazioni” faranno il giro del mondo passando di bocca in bocca. Il problema è di mantenere un ordinato assetto di tale materiale informativo. Più precisamente, spesso questa dinamica del “passa-parola” finisce per inquinare la matrice originaria dell’informazione rivelatrice fornita, la quale, dopo essere passata per diversi filtri o distorsioni, finisce per assumere un aspetto non veritiero ed altamente sviante. Siamo contrari alla Storia intesa come “Tribunale”, ed allo storico come “giudice” o “pubblico ministero”. Lo storico ha,  secondo noi, il compito di contribuire a comprendere i fatti, mai di giudicare gli stessi. Dando, in ogni caso, inevitabilmente, una “sua” versione, più o meno asetticamente neutrale, ma pur sempre “sua”. Un’attività simile a quella di un artista in pittura: l’uso sapiente delle luci e delle ombre che guidano l’occhio lungo la trama dei punti luminosi che costellano la tela (della Storia). E quest’ultimo, con la sua acuta intelligenza, che gli consente di osservare il quadro di insieme dall’alto come un volo d’aquila, identifica bene la matrice operativa primigenia della vera criminalità, quella che inquina e purtroppo governa il mondo della attuale “cultura” politica, mimetizzata da un velo di mellifluo e calcolato perbenismo.  Dove i pupazzi sono nella commedia; ed i pupazzi vengono riempiti di parole…
I documenti mussoliniani, i suoi diari e l’archivio furono giudicati dai servizi d’intelligence anglo-statunitensi <<sensitive>> e furono confiscati e dichiarati <<top secret>>. Come le porzioni del  cervello del Duce, che finirono all’Ospedale St. Elisabeth di Washington. La situazione italiana nell’aprile 1945 è fluida e complessa. Vi sono manovre convergenti e divergenti di assestamento politico che non erano chiare e leali, ma piuttosto torbide ed oscure. Stava emergendo una classe politica che tendeva al potere con ogni mezzo e, all’occorrenza, si dimostrava priva di scrupoli e disponibile ai più bassi e criminali comportamenti. I giochi erano  “aperti” ed il potere attraeva come un’allettante preda. In tale crogiolo d’interessi s’inserisce la morte di Mussolini. Se uno sceneggiatore di spy-stories avesse cercato di immaginare un intreccio ricco di improbabili misteri ed ingegnosi espedienti, pur con i migliori sforzi di fantasia, non sarebbe riuscito a mettere insieme un mosaico così macchinoso, complicato ed inquietante come quello rappresentato dalla vicenda di questo enigmatico carteggio Churchill-Mussolini. Ancora oggi “non” risulta chiaro né ben motivato per quali imperscrutabili ragioni, dopo l’aprile 1945 Winston Churchill si sia recato in Italia sulle rive di alcuni laghi lombardi. A rendere ancora più fitte le ombre, c’è poi il fatto che, attorno alle borse di Mussolini si muove ed opera in quegli anni, ed in quelli successivi, una colorita compagnia di attori l’uno più enigmatico dell’altro. Insomma, ricostruire le fasi della vicenda <<occultamento borse del Duce>> equivale ad inoltrarsi in un’oscura galleria popolata da eventi reali e da uomini in carne ed ossa che, però, sembrano davvero frutto di un’invenzione teatrale. Risultano attualissime le parole scritte nel 1978 da Franco Bandini nel suo saggio intitolato Vita e morte segreta di Mussolini e pubblicato da Mondadori: <<..la fine di Mussolini e di Claretta nasconde sempre, è ovvio, un mistero. Ma questo è sepolto in una coscienza che non è la nostra. Noi non possiamo né penetrarvi, né risponderne>>. I manovratori hanno potuto tutelarsi, stringendo accordi di mutuo silenzio. La parola antifascista "resistenza" fa rima con "reticenza".
Nel gennaio del 1919, “uomini vecchi”, quali Clemenceau, Wilson, Lloyd George, Vittorio Emanuele Orlando, riunitisi al Quai d’Orsay di Parigi, prepararono a tavolino le clausole del trattato di pace, per dividere e rifare il mondo a modo loro, lontano dai campi di battaglia in cui ancora imputridivano milioni di morti, lontano dalle trincee, dai padri dei giovani defunti, dalle città distrutte, dai profughi disperati; e avrebbero diviso e rifatto tutto male, preparando il terreno per una seconda e più sanguinosa guerra mondiale a cui sarebbe succeduta, come in una macabra danza, un’altra pace…fredda, come la guerra congelata tra Washington e Mosca iniziata nel 1945 e finita nel 1989.Cosa sarebbe accaduto se Harry Hopkins, primo consigliere del Presidente Franklin Delano Roosevelt (e suo cervello politico direttivo), non avesse nutrito nel periodo 1940-1945 un sentimento di totale stima per Stalin e l’URSS? Molto probabilmente la storia del centro-est europeo (Germania orientale, Cecoslovacchia, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Bulgaria, Romania etc), non federato all’Unione Sovietica sino a Yalta, sarebbe stata diversa. Una spia può cambiare il corso della Storia, a maggior ragione se tale spia è installata alla Casa Bianca di Washington, District of Columbia. In questo senso, nostro scopo scientifico è cercare di diffondere l’interpretazione del periodo 1939-1945 come problematica, dati i circuiti sotterranei, le oscure manovre di corridoio, gli “echi mentali” e le doppie e parallele sommersioni che lo caratterizzano. È curioso notare che, come dopo Yalta nel febbraio 1945, oggi siano stati imposti di nuovo dall’imperialismo occidentale gli stessi principìì di legittimismo ed equilibrio reazionario (il trattato di Maastricht è solo un grigio esempio) del Congresso di Vienna nel novembre 1814 che si era rivolto contro la libera volontà di un popolo entro il suo territorio sancita dall’avventura giacobina napoleonica. È sempre difficile ed azzardato indagare nelle pieghe di un’anima; lo è tanto più nel caso d’un uomo così complesso e difficile come Mussolini. Benito (Amilcare, Andrea) Mussolini è un animale storico-politico un po’ anarchico ed imprevedibile, che fa dell’autonomia intellettuale un valore assoluto. Da un’ottica psico-biografica, Mussolini è immediatamente riconoscibile per il suo geniale furore politico, la sua vitalità anarcoide e la sua straordinaria forza trasgressiva; un intuito politico di straordinaria raffinatezza, un forte temperamento ed una spiccata tendenza alla spregiudicatezza.
Scrive nel 1928, otto anni dopo la Marcia su Roma, Mussolini nella sua Autobiography: <<Dissi che le rivoluzioni non dovevano essere negate a priori, che potevano essere discusse. Affermai che il popolo italiano non poteva copiare il bolscevismo russo. Abbiamo nella storia della nostra lotta politica elementi di grandezza di pensiero che sono nostri. Questi hanno dato allo spirito del tempo tutta la forza del loro genio e le qualità del coraggio italiano. Se ci deve essere una rivoluzione, dissi, è necessario farne una tipicamente italiana, dalle grandiose dimensioni delle idee di Mazzini e con lo spirito di Carlo Pisacane! Avevo già in mente, chiaro e forte, il concetto di completa ribellione contro il vecchio Stato decrepito che non sapeva morire>>.
Lincoln Steffens, uno dei più insigni assertori statunitensi delle riforme democratiche in un’epoca progressista, resta, alla fine degli anni ’20 del Novecento, impressionato dalla tecnica empirica del fascismo e si convince che la “destra”, <<sotto la carismatica dittatura di Mussolini, avrebbe potuto condurre, attraverso un nuovo, più realistico cammino, a realizzare gli obiettivi della sinistra>> (John P. Diggins, L’America, Mussolini e il fascismo, Laterza, Bari, 1982, p. 292).
Davanti all’assenza sessantennale di qualsiasi concetto, seppur solo abbozzato, di pensiero strategico e davanti all’impronunciabilità di parole come “Politica di potenza”, in un Paese (ed in un continente) in cui la matrice politicamente corretta della cultura è improntata solo ad una visione economico-scientifica (da cui era, ed è, bandito ogni timido contenuto strategico-militare), sarebbe – anche se tardi – il caso di introdurre prepotentemente un approccio che non abbia paura di chiamare le cose col proprio nome: esigenze e necessità <<politico-militari>>, e non semplicemente <<sicurezza>>.
Di fronte alla pochezza storica dei falsi appelli “violanteschi” alla riconciliazione nazionale che ignorano i perché senza risposta che pesano sulla intelligenza italiana sin dal 10 giugno 1940, di fronte all’assenza di uomini di orizzonte mentale quali sono stati Stanis Ruinas (pseudonimo di Giovanni Antonio De Rosas), Enrico Mattei, Aldo Moro, Bettino Craxi, di fronte al settarismo – non più ideologico, togliattianamente parlando – politicamente corretto (e storicamente ignorante) della quasi totalità della classe politica e dirigente italiota e delle varie cariche istituzionali passate e presenti (a destra ed a manca),  pochissimi sono coloro che possono comprendere, in ordine al fascismo, il concetto di <<rivoluzione giacobina>>. Rivoluzione capace di legare finalmente, dal 1914 in poi, il popolo alla nazione, in quanto rivoluzione nello stesso tempo nazionale e sociale.
Ed il giacobinismo fascista, nel 1919 – per alcuni nel 1914 – nasce sul terreno del radicalismo nazionale erede di Maximilien de Robespierre, Gracco Babeuf e Filippo Buonarroti, in cui affondano le radici tanto il giacobinismo gobettiano quanto quello gramsciano. Garibaldi, Mazzini, Pisacane, Gabriele D’Annunzio – che nel settembre-ottobre 1920 elabora un progetto di Marcia su Roma che prevede la Costituzione Repubblicana e la Dittatura del Comandante pescarese - e Mussolini sono gli Uomini cha hanno creato la coscienza nazionale italiana. Dopo Loro, più nessuno, con le timide e parziali eccezioni dei tentativi gronchiani, craxiani e cossighiani.  Chi scrive crede che se gli attuali occupanti dei vari settori di Montecitorio e Palazzo Madama cominciassero a leggere e studiare riviste come <<Pensiero Nazionale>> (uscita dal 1947 al 1977), la cultura politica italiana tutta ne guadagnerebbe in intelligenza interpretativa. Questa rivista politica, fondata e diretta dal citato Stanis Ruinas, pubblica, tra il 1951 ed il 1952,  <<alcuni articoli e discorsi di Mussolini (tutti fortemente eversivi ed antiborghesi) con lo scopo di dimostrare che il capo del fascismo fu un rivoluzionario, assolutamente estraneo alla politica reazionaria del Msi, il quale pretenderebbe, a torto, di discendere da lui. Un rivoluzionario da assimilare, semmai, agli uomini di Ruinas, ma anche alla sinistra antifascista, ed un implacabile oppositore di quelle classi dirigenti tradizionali che nel secondo dopoguerra avrebbero preso forma nella Dc di De Gasperi, nei partiti suoi alleati, nei missini e nei monarchici>> (Paolo Buchignani, Fascisti Rossi. Da Salò al Pci, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-53, Mondadori, Milano, 1998, p. 298). E proprio su <<Pensiero Nazionale>>, del giugno-luglio 1951, si legge, in un articolo intitolato La politica della strage: <<Con questo articolo La politica della strage, pubblicato sull’“Avanti!” dell’8 gennaio 1913, iniziamo la pubblicazione di una serie di scritti e discorsi di Mussolini della giovinezza spavalda e del tramonto tragico. Con questi scritti e discorsi […] intendiamo inchiodare alla gogna della loro malafede e mistificazione tutti coloro, dirigenti missini e monarchici, che speculano su Mussolini presentandolo, in fotografie e disegni e circolari, come un santone delle vecchie caste feudali, come un sanluigigonzaga della D.C., come un almirante del Msi. Ci fu un Mussolini ribelle, “sovversivo”, nemico dichiarato delle caste sacerdotali e monarchiche e capitalistiche: il Mussolini della giovinezza, dell’“Avanti!” e della Repubblica Sociale. Accortosi, dopo venti anni di compromessi, che la monarchia e i suoi alleati della borghesia ricca e delle società anonime e del Vaticano, erano gli antinazionali per eccellenza, egli ritornò, pentito e disperato, alle sue origini popolari, risorgimentali, repubblicane, anticapitaliste e antiagrarie. Abbiamo scelto, come saggio, l’articolo che pubblichiamo, perché, nella sua attualità sconcertante, potrebbe apparire integralmente in un qualsiasi giornale d’opposizione – che non sia un giornale “mussoliniano”. La politica della strage è sempre in auge nell’Italia dell’austriaco De Gasperi e del borbonico Scelba: nell’Italia sanfedista che, da Melissa a Modena, ha creduto saziare con la fucilazione la fame delle folle>> (Nota redazionale in <<Pensiero Nazionale>>, n. 11, 30 giugno-15 luglio 1951). Ed infatti, cosa che l’attuale “sinistra” salottiera italiota ignora per incompetenza culturale e storica o per malafede, nel Partito Comunista Italiano di Palmiro Togliatti i fascisti di sinistra cominciano ad entrare, in diverse fasi ed ondate,  sin dagli anni ’30, per poi continuare almeno fino a metà degli anni ’50 del Novecento. Basterebbe rileggere ciò che Palmiro Togliatti scrisse nel 1936, in un appello pubblicato sul giornale comunista <<Stato Operaio>> e rivolto ai fascisti di sinistra: <<Noi comunisti facciamo nostro il programma fascista del 1919, che è un programma di pace, di libertà, di difesa degli interessi dei lavoratori, e vi diciamo: Lottiamo uniti per la realizzazione di questo programma>> (Palmiro Togliatti, Per la salvezza dell’Italia riconciliazione del popolo italiano!, <<Stato Operaio>>, n. 8, agosto 1936, p. 526).
Chi scrive è d’accordo con chi ha affermato <<che negli Usa il New Deal partirà molto dopo: anche se già annunciato nel ’33, partirà solo nel 1936. È precipuo del fascismo avere affrontato la crisi del ’29 con una grande politica di investimenti e lavori pubblici. Anzi, già precedentemente avevamo ipotizzato una suddivisione in quattro fasi – tra loro assolutamente non lineari – della cosiddetta rivoluzione proletario-contadina di Mussolini:

  • 1924/25-1931 – Bonifica integrale (Serpieri-Consorzi dei proprietari);
  • 1931-1935 – Ruralizzazione Onc (Cencelli);
  • 1935-1938 – Impero;
  • 1938/39-1943 – Dittatura proletario-contadina (Assalto al latifondo siciliano eccetera)>> (Antonio Pennacchi, Linee e tendenze del movimento fondativo. Viaggio per le città del Duce, in <<Limes>>, Rivista Italiana di Geopolitica, n. 6, 2005, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma, pp. 303-312, p. 311, che cita Fascio e martello. Il fascismo come dittatura del proletariato, in <<Limes>>, nn. 3,4, e 5/2002; ora in Viaggio per le città del Duce, Asefi, 2003).

La volontà di interpretare i bisogni del proletariato, tradito dai partiti di sinistra, in una visione di superamento delle classi è, dal 1919 al 1945, la centrale energetica dell’ideologia e della politica fascista, movimentista e socialista. Nel 1931, ad esempio – col New Deal mussoliniano – inizia la fase <<fasciocomunista>> della ruralizzazione. Non a caso una delle bandiere del sindacalismo fascista sarà quella dell’orario lavorativo di otto ore, richiesta che sarà soddisfatta non appena conseguito il potere. Ma, come ha scritto recentemente Antonio Pennacchi (Linee e tendenze del movimento fondativo. Viaggio per le città del Duce, cit., p. 303), è un fatto che: <<Gli anni trenta del secolo scorso costituiscono sicuramente il periodo di massima attività fondatrice, in Italia, di nuovi siti, città e villaggi. Non c’è precedente in tutta la nostra storia, a partire dalla più remota antichità, di una tale e ingente massa di nuove fondazioni, concentrate in un così ristretto ambito temporale: i pochi anni cioè che vanno dal 1932 – fondazione di Littoria – al 1943, con la realizzazione dei Borghi della Sicilia e del Foggiano. Questo movimento di urbanizzazione, peraltro, non è che il corollario di un generalizzato intervento sul territorio, che porterà al totale ridisegno del paesaggio agrario della nazione – con deforestazioni, livellamenti, prosciugamenti, geometrizzazioni di strade, fondi, canali – e che costituisce davvero il monumentum perenne del fascismo, il suo ricordo indelebile, poiché inscritto nella terra. I lutti ed i ricordi anche nefasti forse passeranno, anche le case man mano crolleranno, ma le strade ed i canali no, e nemmeno le pianure riconquistate, coi filari di eucalipti che continueranno ad incrociarsi per secoli>>.  Le verità amare trionfano sempre nel tempo contro ogni sopruso, contro ogni incomprensione, contro tutte le distorsioni e le falsità, quando siano custodite e difese virilmente nel dolore e nella solitudine del silenzio. Quando la maggior parte della vasta letteratura sul Fascismo sarà stata relegata in polverose biblioteche, e le generazioni a venire guarderanno ai fatti grazie ad una certa prospettiva, considerandoli nelle giuste proporzioni, la Storia d’Italia sul periodo 1914-1945 scritta da uomini come Gioacchino Volpe, Duilio ed Edoardo Susmel e Renzo De Felice brillerà di luce immortale. Dopo essere stato idolatrato – fino all’inizio degli anni quaranta del secolo scorso in migliaia di volumi èditi in Italia ed in tutto il mondo (USA in primis) – come un vendicatore dei poveri e degli oppressi, come il creatore di una terza via risolutrice tra capitalismo selvaggio e comunismo materialistico, come il fondatore di una ideale società egualitaria e giusta, 60 anni dopo la sua  “misteriosa” morte, Mussolini è aggiunto, come quarto artefice del <<male assoluto>>, alla mostruosa Trinità del Pantheon negativo dei più grandi criminali del XX° secolo costituita da Stalin, Hitler e Mao Zedong; e, per l’occasione, si è generalmente diffuso l’uso del termine <<nazifascismo>> che è una categoria nominalistica priva di alcun senso storico, coniata ed inventata ad arte dalla propaganda anglo-americana dell’epoca. Perché, allora, non si parla in Italia di nazicomunismo in relazione agli anni 1939-1941 per etichettare il periodo dell’alleanza tedesco-russa del Patto Ribbentrop-Molotov? Strano, perché gli anglosassoni, già negli anni ’50 del Novecento, parlavano e scrivevano di <<Nazi-Soviet Relations>>.
Se Hitler è ancora un enigma (psico-storico), se Stalin ha la sua mummia omaggiata sulla Piazza Rossa di Mosca ed a Pechino il mausoleo che conserva le spoglie di Mao Zedong (responsabile della morte di oltre 70 milioni di persone) sulla Piazza Tienanmen è visitato ad oggi da folle enormi, il silenzio – misto al biasimo – riversato dal potere ufficiale italiano ed esterno sulla figura di Mussolini è, francamente, “inspiegabile”. Ancora oggi i più riflessivi lettori di storia contemporanea non riescono a capire come e perché Mussolini seppe conservare, sia pur ultralimitato e stritolato tra nemici (anglo-franco-russo-americani) ed un “alleato” (la Germania) che lo tradì reiteratamente e sino alla fine, il potere fino alla morte; non vengono illuminati né il suo impatto internazionale dal 1922 in poi, né l’aureola di prestigio che tuttora lo circonda. Mussolini, dunque, è stato un rivoluzionario e la sua dittatura, “casuale” ed involontaria, è stata legittima e necessaria, in quanto senza dittatura non può esserci rivoluzione. La guerra italiana 1940-1945, nell’ottica mussoliniana, complessa e progressiva, va vista nel suo aspetto di guerra socialista, di sciopero generale del nostro proletariato contro il capitalismo mondiale. <<Il fascismo era Mussolini e Mussolini n’era cosciente; …a rigor di logica e di termini si dovrebbe parlare di mussolinismo anziché di fascismo. (…) il fascismo ebbe tante facce quante furono le maschere del suo capo, che fu costretto a sterzare ora a destra e ora a sinistra per tenere avvinte a sé le “forze avverse” (monarchia, borghesia ricca, Vaticano, nazionalismo) con le quali era venuto a patti e di cui si era servito per la conquista del paese. Ma dietro le maschere assunte per necessità, il duce sarebbe rimasto un socialista rivoluzionario ed il fascismo <<un socialismo gerarchico, con investitura dall’alto e con Mussolini duce e dittatore al vertice della piramide>>. Da quella posizione egli <<poteva abbattere il capitalismo, la monarchia e tutto il resto. E davvero nessuno può giurare che non fosse nelle sue intenzioni di farlo>>>> (Paolo Buchignani, Fascisti Rossi, cit., pp. 72-73, che cita Stanis Ruinas, I grossi ragni sul fascismo, in <<La Repubblica d’Italia>>, 20 luglio 1947). In questo senso Giovanni Gentile, tra il 1932 ed il 1935 – parallelamente ad Ugo Spirito –, nella sua qualità di teorico della filosofia del fascismo, arriva a formulare una vera e propria dottrina comunista, iniettando nel determinismo materialistico marxista tutti i valori positivi dell’attualismo, forgiatosi alla luce del pensiero italiano nel ceppo romano e cristiano della vita. <<Di fatto quella di Mussolini – delle cui origini e della cui mentalità marxista non si discute – fu una grandiosa esperienza comunista, compromessa sul nascere e protrattasi per vent’anni contro tutto un mondo che l’odiava a morte e che ne soffocava ogni anelito rivoluzionario>> (Lando Dell’Amico, Ai giovani intellettuali ex fascisti, in <<Pensiero Nazionale>>, n. 14, 1° dicembre 1947).
Il Presidente del Consiglio romagnolo non può essere racchiuso nella categoria patologica di un machiavellico genio del male. La sua sete di potere, le sue “ingenue” illusioni non tolgono che tanti uomini di buona volontà si siano uniti a lui per tentare di salvare e cambiare l’Italietta giolittiana e papalina che si affacciava nell’era novecentesca della politica di massa, delle rivoluzioni e dei colossi statali relativi derivati. In nome degli ideali che il Duce di Dovia seppe suscitare negli anni dal 1914 al 1945, l’Italia realizzò progressi – ed i progressi vanno aiutati anche con i “colpi di mano” - nel campo della sanità, dell’alfabetizzazione, dell’occupazione, migliorò le abitazioni ed i servizi sociali, spesso sino a prima inesistenti. Anche quando, dopo il venerdì nero di Wall Street nel 1929, per la situazione internazionale, il progresso economico e sociale dovette fare i conti con una congiuntura negativa, <<il Duce>> rimase ben saldo alla guida del suo Paese. Anche quando dopo il 25 luglio 1943 tutto parve capovolto d’un tratto, egli rimase nel cuore di molti italiani. La morte di Mussolini, poi, è una Storia che avrebbe dovuto costituire materiale di riflessione per il Parlamento e che invece è stata consegnata all’oblìo. Non si può nascondere la polvere sotto il tappeto.

Nessuno che abbia contemplato la complessa Verità storico-politica può continuare a vivere in un mondo di menzogne. Da quel momento è la sua più intima coscienza a prendere in mano le redini della propria esistenza. La sensazione è quella di rinascere.
Nei miei studi ho delineato e delineerò, in relazione ai crimini partigiani ed istituzionali (italiani e non) dal 1943 in poi, un inquietante scenario di depistaggi e di reati contro la verità. Mi piace, mutatis mutandis, citare ciò che scrivono Rosario Priore e Daria Bonfietti in relazione all’abbattimento del DC9 Itavia sui cieli di Ustica il 27 giugno 1980 che uccide 81 anime. Scrive il giudice Rosario Priore: <<L’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un’azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti.  Nessuno ha dato la minima spiegazione di quanto è avvenuto>>. Scrive Daria Bonfietti: <<Bisogna  trovare ancora la forza per cercare. Ma se può essere finita la vicenda giudiziaria bisogna considerare finito anche l’alibi dietro il quale troppe volte il mondo della politica si è trincerato. La storia non la può scrivere la magistratura da sola: ognuno deve fare la sua parte, serve un intervento vero delle istituzioni. Perché continuo a pensare che Ustica sia un grande problema di dignità nazionale con il quale dobbiamo continuare a fare i conti>> (Daria Bonfietti, L’ultimo sfregio alla verità, <<il manifesto>>, quotidiano comunista, Anno XXXVII, n. 9, Giovedì 11 gennaio 2007, p. 1).  Strage di Ustica, quindi, Dongo, Giulino di Mezzegra (anche se alla leggenda del colonnello  <<Valerio>> che ammazza Duce e Clara Petacci di fronte al cancello di Villa Belmonte non crede  ormai più nessuno) di Piazzale Loreto in quella fine di aprile 1945 sono i luoghi di un’altra strage di cui non si vuole parlare da più di 60 anni.

Un “processo” farsa conclusosi con una conclusione oscena

La morte di Saddam Hussein Al-Tikriti - primo Presidente di uno Stato arabo sottoposto ad  assassinio politico tramite impiccagione dopo un “processo” farsa sotto occupazione militare anglo-americana - che lo scrivente considera, unitamente al Presidente repubblicano egiziano Gamal Abdel Nasser, il più grande leader arabo del post-1945, richiama, con enormi differenze, l’assassinio del Duce d’Italia nell’aprile 1945. Scrive Alberto Arbasino: <<In materia di dittatori, il precedente italiano basico rimane ovviamente il Duce. Però, benché ancora bambino a quei tempi, non mi par  di rammentare tante richieste di sereno giudizio o di vita, con messaggi e scioperi della fame o sete o altro. Né previsioni su giustiziato che diverrà leggenda, o martire popolare. Nemmeno per i vari gerarchi o per la Petacci. Cambiano le mentalità, certo. Ma come bisogna riscrivere la Storia?>>  (Alberto Arbasino, Tangenziale, <<la Repubblica>>, Anno 31, Numero 297, domenica 31 dicembre 2006, p. 19). “Giudici” e boia (con cappuccio da terrorista) a Baghdad, come a Dongo, Bonzanigo, Azzano o Giulino di Mezzegra, avevano fretta. Fretta di silenziare delle bocche ingombranti. Si vuole, così, fare perdere di vista il valore storico, documentario di Saddam o Mussolini (pur con le enormi differenze che li caratterizzano). Per ciò si eliminano. Noi continueremo ancora per decenni a dibattere su chi aveva sostenuto Saddam nella guerra contro l’Iran; chi gli aveva fornito gli aggressivi chimici e biologici; chi lo aveva convinto che l’invasione del Kuwait nel 1991 non avrebbe avuto conseguenze. E le lettere top secret di Churchill al Duce? Con l’impiccagione, alla fine di dicembre 2006 in Mesopotamia,  così come con i mitra, nei pressi del lago di Como a fine aprile ’45, si è chiusa la bocca ad un  testimone storico. Un testimone scomodo. L’amministrazione USA di George W. Bush ha stanziato, non a caso, 75 milioni di dollari (59 milioni di euro) per finanziare le spese del processo farsa a Saddam. Un’”inezia” se si considera che al gennaio 2007 gli USA hanno speso per la invasione criminale dell’Iraq dal 2003 la modica cifra di 300 miliardi di dollari. Seri motivi devono aver spinto gli yankees. E su chi graverà la responsabilità di aver consegnato dal 2003 l'Iraq del dopo-Saddam, a criminali infami come Abu Musab Al Zarqawi? George Walker Bush, Tony Blair (ma prima di loro Bill Clinton per le sanzioni che hanno causato il cosiddetto <<genocidio umanitario>> ai danni del popolo iracheno dal maggio 1991 al 2003, per non parlare della <<no-fly zone>>) saranno mai processati per crimini di guerra? C’è da dubitarne. Churchill (padrone dei massimi intrighi del periodo 1916-1945, annientamento inutile di Dresda in primis), Franklin Delano Roosevelt (Pearl Harbour), Harry Truman (Hiroshima e Nagasaki) e Josif Stalin (si pensi solo al “granellino” di più di 20mila soldati ed ufficiali polacchi assassinati a Katyn dalla NKVD dell’Armata Rossa) furono mai processati per crimini di guerra e contro l’umanità? Al controllo bipolare o tripolare dei destini sancito a Yalta nel ’45, si è oggi sostituito il controllo unipolare dei destini del mondo del post-1989. È in questo contesto che un consigliere del premier iracheno Nour Al Maliki, il 1° gennaio 2007, ha redarguito Romano Prodi ed il governo italiano che avevano espresso il proprio dissenso per l’esecuzione del raìs, dichiarando: <<Alla fine della seconda guerra mondiale, Mussolini è stato processato per un solo minuto. Il giudice (sic!) gli ha chiesto il suo nome ed alla risposta “Benito Mussolini” gli ha detto: il tribunale (quale, N.d.R.) vi condanna a morte e la sentenza è eseguita immediatamente>> (Marco d’Eramo, Guai ai vinti, <<il Manifesto>>, quotidiano comunista, Anno XXXVII, n. 1, Martedì 2 gennaio 2007, p. 1). Ineccepibile ragionamento che andrebbe rafforzato con la logica constatazione che il popolo iracheno si è comportato più seriamente della plebaglia turbinante di Milano del 29 aprile 1945 che ha consegnato ai posteri  lo  squallido e nauseante scempio di Piazzale Loreto. Saddam, almeno, non è stato appeso in un corrispondente Piazzale Loreto iracheno. Mi vergognerò sempre di essere italiano per quello che è successo la mattina di quel 29 aprile ’45 in Milano, in quel distributore di benzina. Sono macchie del disonore eterno che gravano su tutto un popolo. E dal Diario Personale di Eisenhower si legge: <<..la resa dell’Italia fu uno sporco affare. Tutte le nazioni elencano nella loro storia guerre vinte e perse, ma l’Italia è la sola ad aver perduto questa guerra con disonore, salvato solo in parte dal sacrificio dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana>>. Ed infatti, in un’epoca non liberticida come quella attuale, il 26 maggio 1954 il Tribunale Supremo Militare con una sua sentenza aveva già riconosciuto la qualifica di <<truppe combattenti>> ai reparti della Repubblica Sociale Italiana>>.
Interessanti considerazioni, che ritengo riportare in questa sede, ha svolto di recente, basandosi su una mia rivelazione in ordine all’appartenenza dello statunitense Allen Dulles ai servizi non USA, ma dello United Kingdom, il prof. Alberto Bertotto, già collaboratore del nuovo quotidiano <<Rinascita>>: <<Se la missione di W. Audisio fosse fallita per l’intervento delle residue forze fasciste o per quello di patrioti filomonarchici o filobadogliani che non volevano la morte del capo dei repubblicani, era pronta una cordata di “salvataggio” formata da P. Romualdi (Vice Segretario del Partito Fascista Repubblicano), V. Teodorani (nipote di Mussolini), F. Colombo (il comandante della Legione milanese “E. Muti”), G. Dessì (Capo del SIM del Regno del Sud) e S. Guastoni (un ex fascista emissario italiano di A. Dulles). La cordata avrebbe dovuto prendere in consegna il dittatore, ancora libero, in sosta temporanea a Menaggio, la cittadina sulla lariana occidentale in cui si era rifugiato dopo aver precipitosamente abbandonato Como per la minaccia rappresentata da “migliaia” di partigiani pronti ad invadere la città. Una menzogna inventata dal Prefetto fascista R. Celio colluso con il CNL lariano (A. Zanella. L’ora di Dongo. Rusconi, 1993).
Pur di non farselo scappare, S. Guastoni aveva garantito ai fascisti rimasti a Como che la resa del capo del governo della RSI nelle mani del nemico sarebbe stata non solo onorevole, ma addiruttura allettante e lusinghiera, pur essendo il Duce il capo di una nazione militarmente sconfitta (V. Costa. L’ultimo federale. Il Mulino). Il Guastoni aveva garantito che il dittatore sarebbe stato parcheggiato in una villa nei pressi di Como in compagnia dei suoi ministri e, perché no, anche della sua amante Claretta Petacci. Si era addirittura sbilanciato dicendo che Mussolini non sarebbe stato processato, ma confinato su di una sperduta isoletta americana. L’allusione a Napoleone appare scontata. Il suo destino, tuttavia, sarebbe stato sicuramente analogo a quello dei nazisti processati a Norimberga. A tal proposito N. Bobbio ha detto: “Se Mussolini avesse potuto difendersi in un processo regolare lo avremmo trovato, nel dopoguerra, seduto sui banchi dei parlamentari del MSI”.
Da quanto sopra riferito si evince che gli americani avevano le stesse intenzioni degli inglesi: sopprimere Mussolini per eliminare un testimone scomodo e per impadronirsi dei suoi compromettenti dossier contenenti prove disdicevoli per entrambi gli alleati. La vulgata che vuole gli Yankee paladini della legalità e della giustizia viene pertanto ad essere inficiata da macroscopici granelli di polvere che imbrattano i policromi smalti dell’aforistico mosaico della loro dabbenaggine. Nel contempo viene rivalutato l’operato di quegli avveduti e competenti storici (vedi il dott. A. De Felice) che vogliono inserire i pezzi di un complicatissimo puzzle nel loro giusto tassello per ricostruire un passato che non deve passare se non dopo essere stato correttamente interpretato. Da questo punto di vista vale l’assioma per il quale la Storia viene letta in modo diverso a seconda  dell’occhio di chi ne scruta le pieghe. Un occhio indagatore deontologicamente ortodosso deve osservare il precetto di Luciano: “La storico sia simile al Giove di Omero che ora guarda alla Tracia, altrice di cavalli, ora alla Misia dagli arsi pascoli dove nasce l’erba ciprigna che favorisce l’aborto (sia dei quadrupedi che dei Cristiani)”>>  (Alberto Bertotto, comunicazione ad Alessandro De Felice del 17 gennaio 2007).
 Io, per la verità, non credo che un signor Almirante avrebbe svolto il ruolo che ha svolto in presenza di Benito Mussolini. Altra statura. Altra testa. Altra caratura. E soprattutto non avrebbe mai fatto il Duce la ruota di scorta sanfedista della Democrazia Cristiana, come ha fatto l’inutile e vacuo partitino – l’M.S.I., appunto - dei Michelini, degli Almirante e dei Fini attuali. Solo il riformista Bettino Craxi sarebbe stato degno dell’attenzione del Duce massimalista assassinato nel comasco da ometti piccoli nella mente e nel cuore.
In questo confuso contesto la 2ª guerra mondiale, per usare le parole con cui Winston Churchill descrisse la situazione in U.R.S.S., è <<un indovinello, contenuto in un mistero, all’interno di un enigma>>. Per risolvere i misteri serve, comunque, del tempo… Molto tempo.
Va sottolineato che all’autopsia (almeno ad una delle autopsie) del cadavere di Benito Mussolini hanno presenziato, in qualità di “osservatori”, Ufficiali medici dell’U.S. Army i quali hanno scattato numerose fotografie e, secondo fonti attendibili, girato almeno una pellicola. Tale materiale non è stato mai reso noto dal 30 aprile 1945 ad oggi. Non è difficile, quindi, organizzare le idee in un certo senso. E…chi vuol capire, capirà…

Nell’estate del 1920, 25 anni prima del vergognoso 29 aprile 1945, il destino ha dato a Benito Mussolini la miracolosa, agghiacciante lucidità del profeta; <<dove le sue parole assumono precisione di cronaca costruita in anticipo, con la citazione del luogo e dei fatti; dove la narrazione sembra un appuntamento con la storia e con il destino, perché gli eventi si svolgano come egli, per altri motivi, li descrisse, è in questo periodo che riportiamo, senza aggiungere una virgola, dall’articolo Coccodrilli de <<Il Popolo d’Italia>> del 26 giugno 1920. Scrive Mussolini, all’epoca:
“La storia d’Italia non ha episodi così atroci come quello del piazzale Loreto. Nemmeno le tribù antropofaghe infieriscono sui morti. Bisogna dire che quei linciatori non rappresentano l’avvenire, ma i ritorni all’uomo ancestrale (che, forse, era moralmente più sano dell’uomo civilizzato). Né giova ributtare sulla guerra l’origine unica di questa ferocia. I linciatori di piazzale Loreto non videro mai una trincea: si tratta di imboscati o di minorenni che non hanno fatto la guerra. I reduci di guerra sono, in genere, alieni dalle violenze”. Qui è Mussolini che commenta – da vivo e con venticinque anni di anticipo – la sua morte e lo scempio incivile del suo cadavere; è il giornalista che scrive il proprio epicedio e scaglia la sua alta protesta contro bestialità di una folla scatenata. E certe parole non si leggono oggi, senza un fremito di compianto e di orrore>> (Massimo di Massimo, Mussolini, Editoriale Zeus, Perugia, 1996, pp. 7-8).

Una Commissione d’Inchiesta, che in Italia non si nega neanche alle veline televisive, su Piazzale Loreto, sui giorni 28-29-30  aprile 1945 e sull’affaire “lettere di Churchill a Mussolini” (ed anche sulle lettere inviate da figure istituzionali francesi a Vittorio Emanuele III° prima del 10 giugno 1940), non  fu e non è stata mai costituita: Mussolini faceva e fa ancora paura; meglio seppellirlo con le sue responsabilità – che sono state certamente grandi, ma complesse – e pure con le sue idee troppo scomode e complicate per questa “politica” prêt-â-porter.

In fine, usando Schiller, io credo e scrivo questo su Mussolini, Unico attore Vero nel teatro della Storia d’Italia: è necessario ripetere ancora che nello spazio scenico non può aver vita se non un mondo ideale? Che il Carro di Tespi, come la Barca d’Acheronte, è così lieve da non poter sopportare se non il peso delle ombre o delle immagini umane? Che lo spettatore deve aver coscienza di trovarsi innanzi ad un’opera di poesia e non innanzi ad una realtà empirica?

Mussolini, l’Uomo Nero, cosa voleva? Egli intuì l’importanza di una leadership certamente personalistica e di una concezione leninista del partito, ma nutrita di idee forti. Era un riformatore rivoluzionario che credeva "troppo" nel primato della politica sull’economia. Era popolare e populista. Ma il Mussolini di Gargnano si accorge forse tardi dei ricatti spionistici cui è soggetto. RSI e Regno del Sud ed attorno ad essi un mondo di menzogne, di doppiogiochisti e di persone che hanno due o tre maschere: indubbiamente è difficile districarsi in quelle ore, in quella fine aprile 1945. Mussolini era un laico duttile ed astuto, ma era e rimase sempre un idealista. Soreliano ed anarchico. Socialisticamente “solitario”. Nessuno gli ha mai risposto dal 1945 ad oggi. Ma Lui continua a suscitare l’attesa…