Dove Tutto è Cominciato.
Where Everything Began.
The final truth of the “De Felice-Mussolini Equation” is still unknown
I De Felice, Mussolini ed i fratelli Gabriello e Carlo Carnazza:
Socialismo, Mazzinianesimo, Democrazia Sociale e Fascismo.
<<Quando il fascismo si è impadronito di un’anima non la lascia più>>
(Benito Mussolini, Al popolo di Perugia, 5 ottobre 1926).
<<QUANDO I COMIZI FASCISTI DIVENTERANNO ASSEMBLEE MORTIFERE DI PRETI E DI CHIERICI SALMODIANTI UN “DIES IRAE” IMPOSSIBILE, IO NON SARò Più FASCISTA>>
(Benito Mussolini, discorso per le elezioni politiche del 15 maggio 1921, Milano, Piazza Borromeo, 14 maggio 1921).
Nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915, pubblicata da Laterza, Bari, nel 1942, Benedetto Croce, alla pagina 279 e seg., a proposito del congresso socialista di Reggio Emilia apertosi il 7 luglio 1912, scrive:
<<Nell’ala sinistra, era sorto in quel tempo un uomo di schietto temperamento rivoluzionario, quali non erano i socialisti italiani, e di acume conforme, il Mussolini, che riprese l’intransigenza del rigido marxismo, ma non si provò nella vana impresa di riportare semplicemente il socialismo alla sua forma primitiva, sì invece, aperto come giovane che era alle correnti contemporanee, procurò d’infondergli una nuova anima, adoperando la teoria della violenza di Sorel, l’intuizionismo di Bergson, il prammatismo, il misticismo dell’azione, tutto il volontarismo che da più anni era nell’aere intellettuale e che pareva a molti idealismo, onde anch’egli fu detto e si disse volentieri <<idealista>>>>.
<<Io comprendo, e compiango un poco, quei fascisti delle molte Peretole italiane, i quali non sanno astrarre dai loro ambienti; vi si inchiodano e non vedono altro, e non credono alla esistenza di un più vasto e complesso e formidabile mondo. Sono i riflessi del campanilismo, riflessi che sono estranei a noi, che vogliamo sprovincializzare l’Italia>>
(Benito Mussolini, Fatto compiuto, <<Il Popolo d’Italia>>, 3 agosto 1921).
<<Alcuni preferirebbero vedermi sotto le spoglie di un ministro del vecchio stampo, di uno di quei Presidenti del Consiglio che parlavano soltanto dopo i banchetti, per affaticare ancor più la già affaticata digestione>>
(Benito Mussolini, Al popolo milanese, 24 maggio 1930).
<<Non si può fare una grande nazione con un piccolo popolo>>
(Benito Mussolini, Discorso alla Mostra d’Arte “Novecento”, Milano, 26 marzo 1923).
<<Gli uomini singoli vivono della loro reputazione, le nazioni del loro prestigio, e quando il prestigio se ne va, non c’è verso di farlo risorgere. Noi viviamo ancora massacrati dai luoghi comuni di tre secoli fa, e qualche volta si legge sui giornali che siamo ancora un popolo di organisti e di venditori di statuette, e non siamo ancora riusciti a liberarci di questo luogo comune>>
(Benito Mussolini, Al Direttorio Nazionale del PNF, Roma, Palazzo Venezia, 11 marzo 1943).
Catania, 1891-1919.
Dai Fasci Siciliani dei Lavoratori, al Fascio Operaio di Garibaldi a Bologna (1882), al defeliciano Fascio Democratico di Catania (1910), ai Fasci d’Azione Interventista, al Fascio Rivoluzionario d’Azione Internazionalista (ottobre 1914) al Fascio Parlamentare di Difesa Nazionale (1917) ed ai Fasci Italiani di Combattimento (Milano, Piazza San Sepolcro, sede dell’Alleanza industriale e commerciale, 23 marzo 1919). Anarchismo, Socialismo, Socialdemocrazia, Bonapartismo Sociale e Cesarismo Democratico.
Alessandro De Felice (figlio dell’Avv. Ugo De Felice e di Emilia Mantese), nel 1944 è Capo dell’Avvocatura Comunale di Catania. Due croci di guerra ed una medaglia di bronzo per la guerra 1915-1918.
Franco De Felice (figlio dell’Avv. Vittorio De Felice – già Consigliere Provinciale di Catania sino al 1907 – e di Luisa Maria Teresa Maccioni, perugina), è, sin dal marzo 1934, nel Direttorio del Sindacato Avvocati e Procuratori di Catania. L’economia catanese del fascismo e del secondo dopoguerra (la <<Milano del Sud>>) passeranno dal suo studio legale (via Matteo Renato Imbriani 29).
Vittorio De Felice è anche il nome del padre di Renzo De Felice, ed anch’egli nativo di Catania e cugino di Franco, Alessandro e Francesco De Felice i cui padri sono appunto tutti fratelli. Vittorio De Felice è volontario nella Grande Guerra, nel corso della quale è colpito dai gas austriaci riportando una grave invalidità polmonare, aderente ai Fasci di Combattimento quale ex combattente, funzionario delle dogane (ed a ciò si deve la nascita di Renzo De Felice non a Catania, ma a Rieti nel 1929 dopo il matrimonio con la sanmarinese Giuseppina Bonelli), ed ancora volontario nella guerra 1940-1943.
Il 19 luglio 1920 muore ad Acicastello Giuseppe De Felice, il più grande Uomo politico della Storia etnea, Direttore del <<Corriere di Catania>>, Procuratore Legale, che mai ha esercitato la professione. Scrive il 20 luglio 1920 sul <<Giornale dell’Isola>>, il Direttore Carlo Carnazza: <<De Felice…ha caratterizzato la Catania del nuovo secolo, ha riempito di sé la storia degli ultimi trenta anni della vita politica ed amministrativa. Fu un uomo di eccezioni. Più che di spirito partegiano ebbe spirito di dominatore, e dominò le folle, perché delle moltitudini conosceva, con infallibile intuito, l’anima. Tempra resistente di lottatore, ebbe una vita piena di agitazioni, di dolori, di soddisfazioni incommensurabili…>>.
Il 15 novembre 1914 <<Il Popolo d’Italia>>, (<<quotidiano socialista>> si legge nell’intestazione) di Mussolini appare per la prima volta nelle edicole di Milano e delle principali città italiane. Suoi finanziatori sono in primis Filippo Naldi (direttore del <<Resto del Carlino>>) che ha dietro pure Antonino Paternò Castello Marchese di San Giuliano, quindi i servizi segreti francesi e quelli russi, influenti personalità ebraiche italiane, ed alcuni industriali di orientamento interventista: Carlo Esterle (Edison), Emilio Buzzone (Unione Zuccheri), Giovanni Agnelli (Fiat), Mario e Pio Perrone (Ansaldo) e Angelo Parodi per gli armatori più potenti in Liguria.
Giuseppe De Felice salva la vita al Caporal Maggiore Benito Mussolini nell’autunno 1916. Nell’ottobre di quello stesso anno, infatti, alcuni amici socialisti del Duce cercano, ad insaputa di Mussolini stesso, di evitargli rischi. Leonida Bissolati si rivolge a Giuseppe De Felice che era in ottimi rapporti con lo Stato Maggiore dell’Esercito. Gli scrive una prima lettera il 5 ottobre 1916, ed una seconda l’11 ottobre successivo che qui riproduciamo e che è conservata a Roma all’Archivio Centrale dello Stato (Segreteria Particolare del Duce, Carteggio riservato (1922-43), b. X-R <<Bissolati>>, fascicolo 292). In essa si legge:
<<Carissimo (De Felice, N.d.R.), grazie della tua pronta lettera. Anzitutto: il Muss(olini) è cap. magg. 11° Bersaglieri 5ª comp.
Si tratta: in via principale, di deprecare la sventura che egli, debole com’è di salute, ci venga a mancare. Di una energia come la sua noi abbiamo bisogno ora, e più avremo bisogno dopo la guerra, per fronteggiare le insidiose manovre de’ neutralisti. Ora egli è malandato – ma darsi malato non vuole. Bisognerebbe, se possibile, fargli una visita di autorità…ma la cosa lo irriterebbe. Si aggiunga: egli si trova in mala compagnia. È caduto tra ufficiali e soldati neutralisti che lo torturano a ogni momento. E più i soldati. (Saran forse de’ concittadini di Prampolini…o de’ toscani!!). Dunque: la prima cosa: ritrarlo di là. E perciò mi pare che andrebbe bene quel che tu proponi. Purché lo si faccia di autorità, e purché egli non vada a cadere dalla padella nelle bragie. Così potrebbe a un tempo risparmiare la salute e non avvelenarsi l’anima. In seguito vedremo se sarà possibile altra cosa. E cioè portarlo a Milano perché ivi ci aiuti. <<Il Popolo d’Italia>> senza di lui perde terreno e rischia sempre di fare delle gaffes. Ma la prima condizione è che egli non si accorga della amichevole congiura. Noi salviamo una spada, in lui, una spada per l’Italia da maneggiare contro i nemici interni. E perciò la nostra coscienza di italiani non può che essere tranquilla nel fare il possibile per conservarci quest’uomo. Ti abbraccio, tuo Leonida Bissolati>>.
Ed alla Camera dei Deputati, 6 anni dopo, il 19 luglio 1922, Benito Mussolini dice: <<Dopo il contrasto di Reggio Emilia (luglio 1912, N.d.R.), Bissolati fu uno dei miei amici più cari, perché il contrasto non era un contrasto di interessi, non era un contrasto personale, non era un’antitesi dovuta ad un’ignobile passione, era una diversa valutazione di quello che in quel momento avrebbe dovuto essere il socialismo italiano. Ed io, che do ragione anche ai miei avversari quando l’hanno, riconosco oggi che Leonida Bissolati era nel vero e che io ero nel falso>>. Ed il 29 ottobre 1924 lo stesso Mussolini inaugura a Pescarolo una lapide commemorativa intitolata allo stesso Bissolati.
Il 23 febbraio 1917, verso le ore 13.00, Mussolini al fronte di guerra, presso il lago di Doberdò, provincia di Monfalcone, a quota 144 metri di altezza, mentre assisteva all’istruzione sul lancio delle bombe con cannoncino lanciabombe Ansen, il Duce viene investito da una raffica di schegge e catapultato parecchi metri lontano. Ha 46 ferite che gli procurano una forma infettiva e suppurativa, all’epoca frequente conseguenza dei ferimenti sporchi da scheggia avvenuti in trincea, che fanno penetrare nei tessuti corporei considerevoli quantità di detriti carichi di germi pericolosi. Mussolini subisce numerosi interventi chirurgici quasi quotidiani. Si temerà per la sua vita. Ad un determinato momento si svilupperà un focolaio di osteite che richiede la demolizione di un tratto della tibia sinistra con una dolorosissima operazione. Mussolini risentirà delle conseguenze del ferimento per tutta la vita.
Scrive il 18 agosto 1922 su <<Il Popolo d’Italia>>, Mussolini, in un articolo dal titolo Il Papa e Pancrazi:
<<Che quella fascista sia una rivoluzione vera e grande, lo dimostra il fatto che in una affermazione almeno i vandeani dell’antifascismo, i borbonici dell’antifascismo, gli emigrati dell’antifascismo sono unanimi come risulta dalla loro letteratura nel riconoscere cioè la impossibilità di un ritorno all’antico regime che il fascismo ha composto per sempre nella fossa>>.
Ed alcuni mesi prima, il 23 marzo 1921, lo stesso Duce scriveva su <<Il Popolo d’Italia>>:
<<Il fascismo è la ventata di tutte le eresie che batte alle porte di tutte le chiese. E dice ai vecchi sacerdoti più o meno piagnoni: andatevene da questi templi che minacciano rovina perché la nostra eresia trionfante è destinata a portare la luce in tutti i cervelli, a tutti gli animi. E diciamo a tutti, piccoli e grandi uomini della scena politica nazionale: fate largo che passa la giovinezza d’Italia che vuole imporre la sua fede e la sua passione>>.
Un anno prima, su <<Il Popolo d’Italia>>, l’11 luglio 1920, Mussolini scrive:
<<Io sono reazionario e rivoluzionario, a seconda delle circostanze. Farei meglio a dire – se mi permette questo termine chimico – che sono un reagente. Se il carro precipita, credo di far bene se cerco di fermarlo; se il popolo corre verso un abisso, non sono reazionario se lo fermo, anche colla violenza. Ma sono certamente rivoluzionario quando vado contro ad ogni superata rigidezza conservatrice o contro ogni sopraffazione libertaria>>.
Ed il 15 ottobre 1920, in un discorso all’Assemblea generale del Fascio Milanese di combattimento (in via Vivaio), lo stesso Mussolini, due anni prima della “Marcia su Roma”, dice:
<<I peggiori reazionari in questo momento sono, per il fascismo e per la storia, coloro che si dicono rivoluzionari, mentre i fascisti, tacciati cretinamente di “reazionari”, sono, in realtà, coloro che eviteranno all’Italia la terribile fase di un’autentica reazione>>.
E sono proprio i due anni tra il 1919 ed il 1921 quelli in cui il Mussolini ed il Fascismo della <<Prima Ora>> forniscono innovazioni storico-politiche e giornalistiche internazionali di carattere nevralgico. Il 15 novembre 1919, in un discorso per elezioni politiche del 16 novembre 1919, Mussolini in un discorso in Piazza Mercanti a Milano, afferma:
<<La massa inerte ed ostile non ebbe mai un compiuto senso della libertà. S’accucciò senza rivolta alle scudisciate e si gettò venale sulla piccola moneta. Vide la pace di Villafranca, il delitto d’Aspromonte, la viltà di Custoza e di Lissa, ed il martirio di Mentana, senza un sussulto e senza grido! Preferì raccattare la sua Unità anziché conquistarla; preferì l’intrigo furbo all’eroismo diritto, e il mondo ci trattò come si trattano i pezzenti e i disonesti>>. Qualche mese prima, in articolo su <<Il Popolo d’Italia>> del 1° agosto 1919 dal titolo Sbrigatevi, signori!, il Duce scrive: <<Il “prestigio del Parlamento” è una frase vuota di senso. La crisi del parlamentarismo – rappresentanza politica – è generale e profonda, e quanto a noi pensiamo che il miglior mezzo per ripristinare il prestigio del Parlamento tradizionale è quello di abolirlo per dar luogo a forme più moderne, reali e oneste di rappresentanza popolare>>.
Veramente irripetibile il saggio mussoliniano seguente, tipico del Mussolini giacobino, rivoluzionario e non etichettabile, apparso – col titolo Verso l’azione - su <<Il Popolo d’Italia>> del 13 ottobre 1919:
<<Il fascismo è una mentalità speciale di inquietudini, di insofferenze, di audacie, di misoneismi anche avventurosi, che guarda poco al passato e si serve del presente – come di una pedana di slancio verso l’avvenire. I melanconici, i maniaci, i bigotti di tutte le chiese, i mistici arrabbiati degli ideali, i politicanti astuti, gli apostoli che fanno i dispensieri della felicità umana, tutti costoro non possono comprendere quel rifugio di tutti gli eretici, quella chiesa di tutte le eresie che è il fascismo. È naturale, quindi, che al fascismo convergano i giovani che non hanno ancora un’esperienza politica e i vecchi che ne hanno troppa e sentono il bisogno di rituffarsi in un’atmosfera di freschezza e di disinteresse>>.
Il 30 maggio 1920, in un sulfureo pezzo dal titolo La montagna e i topi, sempre uscito su <<Il Popolo d’Italia>>, Mussolini scrive:
<<Per noi le parole destra e sinistra sono vuote di senso. Ci sono dei vecchi e dei giovani liberali coi quali possiamo andare benissimo d’accordo in materia di politica interna ed estera; mentre esistono delle insuperabili incompatibilità fra noi e certi elementi della più avanzata e più sociale o socialistoide democrazia. Noi giudichiamo gli uomini e i partiti non dalle loro etichette esteriori, ma dalla loro intima sostanza e dalla loro attività>>.
E nell’aprile 1924, su <<Gerarchia>>, in un articolo intitolato Preludio al Machiavelli, Mussolini scrive: <<I deputati parlano forse perché hanno qualche cosa da dire al Governo o alla Nazione? No. Parlano per “imbonire” qualche dozzina di elettori, che – ingenui come i nostri “buoni villici” – li prendono ancora sul serio>>.
Ai primi di aprile del 1924 l’Avv. Gregorio Guarnaccia, al Teatro “Massimo” Bellini di Catania, presenta i candidati per le prossime elezioni politiche, inseriti nella <<Lista Nazionale>>, il cosiddetto <<listone>> in cui Mussolini ha voluto inserire fascisti e non fascisti. Nelle elezioni del 6 giugno il <<listone>> raggiunge, nella circoscrizione della Sicilia, 12.005 voti con 38 seggi, su 26.354 votanti, e vengono eletti deputati al Parlamento alcuni avvocati catanesi, tra cui Carlo Carnazza ed il fratello Gabriello Carnazza, Dante Majorana, Filippo Pennavaria, Gaetano Pirrone, Ruggero Romano; mentre per la lista <<Democratici Indipendenti>> (a cui vanno 4 seggi) gli eletti sono Luigi Macchi e Vincenzo Saitta (detto, per lo spirito umanitario che lo caratterizza, <<l’avvocato dei poveri>>). La federazione del Partito Fascista etneo è retta da un triumvirato composto dagli avvocati Enrico Percolla, Antonino D’Angelo e Gaetano Spanò. Nel gruppo dei fascisti si nota già una “destra” guidata dall’avv. Giovanni Ferro ed una “sinistra” capeggiata dagli avvocati Giovanni Motta, Riccardo Addario ed Ulisse Ducci. Nel 1924 tale ultimo gruppo assumerà, come dissidentismo fascista, la denominazione di Associazione Patria e Libertà.
Iª Guerra Mondiale:
Giuseppe Carnazza, Procuratore Legale figlio di Gabriello, muore il 24 settembre 1917 sulla Bainsizza. Anche il 33enne Avvocato Enrico Adolfo Pantano, nipote del ministro dei Lavori Pubblici Edoardo Pantano, muore il 25 ottobre 1917 sul Carso. Così pure il 19enne Tenente Francesco De Felice, figlio dell’Avvocato Ugo De Felice che spira al fronte di guerra il 25 dicembre 1917.
La Grande Guerra “termina” il 4 novembre 1918. L’Italia ha avuto 600mila morti, nella grande maggioranza, figli giovanissimi della borghesia post-risorgimentale. Accanto ad essi vi sono 500mila mutilati. Il disavanzo statale passa da 200 milioni a 23 miliardi di lire ed il costo della vita è quadruplicato. L’Italia? Il destino lascia e fa sì che un solo Uomo – l’Unico a saper coniugare in sintesi politica l’antitesi, ufficialmente incomponibile, di classe e Nazione - La conduca fuori dalle tenebre: è il 23 marzo 1919, a Milano, in Piazza San Sepolcro.……all’atto di fondazione dei Fasci Italiani di Combattimento nella sede dell’Alleanza industriale e commerciale, Mussolini dichiara:
<<Ogni vita vale un’altra vita, ogni sangue vale un altro sangue, ogni barricata un’altra barricata. Aperta la successione del regime (liberale ottocentesco, N.d.R.), noi non dobbiamo essere degli imbelli. Dobbiamo correre. Se il regime sarà superato, saremo noi che dovremo occupare il suo posto. Perciò creiamo i Fasci: questi organi di creazione e agitazione capaci di scendere in piazza a gridare: “Siamo noi che abbiamo diritto alla successione perché fummo noi che spingemmo il paese alla guerra e lo conducemmo alla vittoria!”>>.
Il Tempo si era spezzato in due: la Storia aveva cominciato un nuovo conto.
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